L’adozione dei principi FAIR da parte delle infrastrutture di ricerca ambientale italiane è molto eterogenea: ogni comunità scientifica applica i principi FAIR in modo diverso a seconda delle proprie esigenze e del proprio livello di maturità. A questa conclusione giunge uno studio, pubblicato sulla rivista Patterns, condotto dagli scienziati dell’Istituto di Ricerca sugli Ecosistemi Terrestri del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-IRET). Il team, a cui afferiscono i ricercatori della sede di Lecce dell’Istituto, fornisce una fotografia chiara dello stato attuale sull’implementazione dei principi FAIR. Il lavoro rappresenta pertanto un punto di riferimento per monitorare i progressi nell’adozione delle pratiche FAIR in futuro.
Le crisi ambientali odierne, spiegano gli esperti, richiedono non solo nuova conoscenza scientifica, ma anche la capacità di condividere, integrare e riutilizzare in modo efficace i dati già esistenti. Le infrastrutture di ricerca ambientale svolgono un ruolo chiave perché garantiscono che i prodotti della ricerca siano preservati nel tempo e messi a disposizione a supporto di decisioni e politiche fondate su evidenze scientifiche.
In questo contesto, i principi FAIR offrono una guida essenziale, ma la loro implementazione è complessa e varia notevolmente tra comunità diverse. Da qui nasce la necessità di un’analisi sistematica che documenti come e con quali differenze tali principi vengano applicati in Italia.
L’analisi del gruppo di ricerca mostra un notevole grado di eterogeneità nell’adozione dei principi FAIR. Nonostante ciò, riportano gli autori, emergono tendenze di convergenza, soprattutto nel settore marino, dove alcune pratiche comuni sono consolidate.
“Abbiamo adottato un approccio in tre fasi – spiega Enrica Nestola, ricercatrice del CNR IRET e prima firma del paper – che ha analizzato 14 infrastrutture di ricerca coinvolte nel progetto ITINERIS e appartenenti a quattro sotto-domini ambientali (atmosfera, mare, biosfera, geosfera). La prima fase è stata una survey strutturata, per raccogliere informazioni comparabili sulla gestione dei dati e sui livelli di aderenza ai principi FAIR”. “Successivamente – continua l’esperta – abbiamo portato avanti interviste qualitative, utili ad approfondire le scelte specifiche di ciascuna RI. Da ultimo, abbiamo effettuato l’analisi delle risorse, un esame diretto delle piattaforme, dei servizi digitali e della documentazione resa disponibile dalle infrastrutture di ricerca”. Tale approccio ha permesso agli studiosi di ottenere una visione completa e multilivello delle pratiche FAIR attualmente in uso.
I risultati offrono diversi contributi strategici, riferiscono gli autori. In primis, i dati potrebbero aiutare altre comunità scientifiche a orientarsi nella costruzione di piattaforme e servizi FAIR-compliant, mostrando cosa viene utilizzato, dove emergono le criticità e quali strategie possono favorire la convergenza. Allo stesso tempo, i risultati offrono una baseline nazionale per valutare l’evoluzione delle pratiche FAIR nel tempo, sia in Italia che nel panorama europeo.
“Nel complesso – conclude Nestola – il nostro studio supporta lo sviluppo di ecosistemi digitali interoperabili e pronti a sostenere la ricerca su temi ambientali globali come cambiamento climatico, biodiversità e rischi naturali”.